venerdì 16 marzo 2012

Costruirsi un pacco batterie alternativo per Tivoli Audio PAL

Oggi niente cucina.
Voglio inaugurare un nuovo capitolo del mio piccolo blog, che ricalca la passione che da sempre che mi porta a smontare e rimontare (quasi) qualsiasi cosa mi passi per le mani, il fai da te. Diciamo che da "e se cucino io..." si passa a "e se lo faccio io..."

Cominciamo con una piccola manutenzione alla mia compagna mattutina, la radio Tivoli Audio PAL. Non mi sperticherò in incredibili lusinghe perché questa piccola meraviglia non ne ha di certo bisogno: basta dire che suona da Dio Ed in fondo spendere circa 250 euro per una radio mono, con il sintonizzatore manuale, e che quindi non salva neanche uno straccio di stazione, sarebbe proprio da matti ("e falla pure sonà male..." direbbe un mio amico..).
 
Digerito il ragguardevole prezzo di acquisto, trovo invece che il vero scandalo sia nel prezzo degli accessori, ossia del pacco batterie, necessario perchè la radio resti portatile, e che comunque dopo mesi di ascolto continuato tende ad esaurirsi. Attualmente (03/2012) lo si trova originale a 45 euro.
45 euro??? ma sono sono sei (6) cavolo di batterie stilo ricaricabili (le AA per intenderci) tra l'altro anche di bassa capacità (1400mAh) e questo perchè la radio è dotata di un circuito di riconoscimento della carica che non permette di esagerare coi milliAmpere/ora, pena il rifiuto della radio nel ricaricarle.
Io consiglio di non superare i 2000 mAh.
A questo punto fate così:
andate in un qualsiasi negozio di elettronica e comprate un pacco portabatterie per 6 stilo
  
con il suo cavo che di solito termina in un attacco tipo batteria 9v

dal vecchio pacco batterie esausto della PAL tagliate via la spina con i cavi (o ne comprate uno nuovo in un negozio di modellismo), saldate tra loro gli estremi dei due cavi rossi ed anche quelli neri (non tutti e 4 insieme mi raccomando) li chiudete con un po' di nastro isolante e se proprio volete fare un bel lavoro coprite l'aggiunta con della guaina termorestringente.

inserite rispettando la polarità sei batterie stilo ricaricabili di amperaggio non superiore ai 2000mAh ed il gioco è fatto!

L'unico svantaggio è che il nuovo pacco batterie non entrerà più nell'alloggiamento all'interno della radio,
ma se come me avete la cover (molto fetish) della PAL, potrete mettere la nuova batteria in una delle taschine laterali 
e richiudere lo sportellino senza stringere troppo le viti per permettere al cavo di uscire dal retro della radio.

  
Il gioco è fatto!
Ricordatevi di fare un paio di cicli completi di carica e scarica per permettere alle batterie di raggiungere il massimo della carica ed il prossimo cambio batterie lo farete come ad una qualsiasi radio a pile.
Buon divertimento!!!

domenica 4 settembre 2011

Fave e Cicoria (fave e foglie)




Oggi ricetta facile ma non veloce: fave e foglie o fave e cicorie come dice Vale che è pugliese come la ricetta in questione e quindi, forse ha ragione.

La ricetta comincia con una passeggiata in bici per una Roma calda e deserta di fine estate, verso il farmer market di Testaccio, quello che prende in prestito un padiglione dell’ex mattatoio, per intenderci.
Il farmer market, per chi non lo conoscesse, è un’iniziativa di campagna amica che raccoglie gli agricoltori di zona in uno spazio comune dove questi possono vendere direttamente i propri prodotti.
Dopo il primo giro, più degustativo che esplorativo, Valentina punta la cicoria selvatica che un agricoltore tiene dentro un cestone di vimini. Io obietto subito che siamo in bici, e per di più senza cestino porta tutto che è roba da ciclista della domenica, ma Vale già è li con i soldi in mano. In realtà il ricordo, o meglio l’imprinting di un piatto di fave e cicorie mangiate a Bari a casa del papà di Vale ha contribuito non poco a farmi desistere da ogni ulteriore protesta, che comunque oramai sarebbe risultata inutile.
Prese “le cicorie” (i Baresi chissà perché le chiamano al plurale), ci siamo diretti verso il banco dei legumi secchi e li impossessati di un bel mezzo chilo di fave sgusciate.
Non vi descrivo l’impresa del riportare a casa il bottino di guerra perché ci perderemmo tra sudore, pacchi che ti vengono in mezzo alle ruote ed improperi vari.



Passiamo alla ricetta. 

INGREDIENTI

per 2-3 persone
300g di fave secche sgusciate
3-4 cucchiai d’olio evo
1/3 di bicchiere di latte
1 kg di cicoria, meglio se selvatica
Acqua q.b.
Sale

Lunga, dicevo all'inizio, perché si comincia la sera prima a pulire la cicoria tagliando via la radice e due dita di gambo, eliminando le foglie rovinate, e quindi lavandola molto bene, 3 o 4 volte, magari lasciandola a bagno qualche ora, per liberarla completamente dalla terra.
Contemporaneamente si sciacquano le fave in acqua un paio di volte per togliere la polvere e quindi si lasciano per tutta la notte a bagno in un recipiente, con una quantità di acqua appena necessaria a coprirle.

Fatto ciò, la mattina seguente si mettono le fave con la loro acqua, in un tegame, meglio se di terracotta o comunque con un fondo alto per poter distribuire meglio il calore, e si aggiunge il latte che toglie un po’ l’amaro, l’olio ed il sale (non troppo, c’è sempre tempo di aggiungerlo più avanti nella cottura).
Si fa sobbollire con coperchio il tutto a fuoco lento per almeno un paio d’ore, controllando di tanto in tanto che il liquido non sia evaporato, (ma durante la prima ora non si tocca nulla!) e poi si gira il composto che piano piano si trasformerà in un purea abbastanza liquido.
Quando le fave saranno cotte, completate l’opera con il minipimer che renderà vellutata la purea e aggiustate di sale e lasciate cuocere ancora un po’ per raggiungere la giusta consistenza, considerando anche che raffreddandosi si rapprende.

Nel frattempo lessate la cicoria con abbondante acqua salata, controllando la consistenza dei gambi, ma per la cicoria selvatica ce la siamo cavata con soli 10 minuti. 
La cicoria va quindi scolata molto bene e tenuta in caldo.

Il piatto è così pronto, servite la cicoria condita con un buon olio saporito evo (io uso quello di Canino) intingendola nella purea calda e accompagnandola con pane casareccio.

Buon appetito !!!


lunedì 7 giugno 2010

Il ciambellone alle nespole e mele renette



INGREDIENTI


250g zucchero bianco
250g di farina 00
4 uova intere
130g di olio di semi (di girasole è meglio)
130g di latte (intero è meglio)
1/2 bicchierino da caffè di liquore (rum, brandy..)
la scorza grattuggiata di un limone
1 bustina di lievito per dolci (io uso il Bertolini)
2 mele renette
8-10 nespole a seconda della grandezza
un pezzetto di burro per imburrare la teglia (ne basta un quadratino)
zucchero di canna per guarnire




Parafrasando Baricco, le nespole sono le sorelle stupide delle albicocche. 
Colore simile, forma similare, consistenza simile, ma sapore effettivamente più delicato.
Ma perchè mai, mettere nespole in un ciambellone?
Mah, primo perchè sono di stagione, secondo perchè mia mamma ieri si è presentata con una cartata di nespole prese dall'albero del cortile del suo palazzo, quindi dopo averle assaggiate, e scoperto che non sono neanche malaccio (magari un po' anonime come sapore ma buone) mi è sembrata una buona idea quella di affiancarle alle due mele renette che da un po' facevano capolino nella parte bassa del mio frigo.
Le mele renette invece, per chi non le conoscesse, sono delle brutte mele asprigne e che secondo me allappano pure un po', quindi poco mangiabili, ma favolose in cucina.
Il ciambellone che vado a proporvi è una ricetta che ho preso da Maria, una amica di mia mamma. Lei fa un ciambellone che è una favola. Io lo faccio uguale uguale: stessi ingredienti, stesse dosi, stessa dedizione, magari forno diverso, ma non capisco come, il mio ciambellone è molto buono (modestia a parte) mentre il suo è superlativo. E' un po' come un limite di una funzione f(x) per x che tende all'infinito: gli puoi star dietro, ma tanto prima o poi se ne va e non la pigli più.
Diciamo che è ormai abitudine che quando Maria fa il ciambellone, ne regali un pezzettino a mamma, che me lo propone dopo cena. Io tutte le volte lo osservo, lo annuso, lo taglio, lo metto in bocca sempre sperando che sia come il mio, ma no: porca puttana tutte le volte quel cavolo di ciambellone è tremendamente favoloso, mentre il mio è solo molto buono. Poi mamma dice: "dai, portati a casa quello che è rimasto e ci fai colazione". Io di solito ringrazio, rifiuto e mi punisco con the, fette biscottate e marmellata troppo dolce.


Ok, detto questo passiamo alla ricetta vera e propria, e scusate lo sfogo, che tra l'altro mi ha fatto risparmiare dei soldi che prima o poi avrei speso in analisi, una volta colto da "raptus ciambellonico" ossia quello che ti fa uccidere le amiche della mamma più brave di te.




Il metodo che uso io è quello del "meno sporchi e meno fatichi, meglio è", voi però potete fare quello che volete, ma se volete imitarmi, vi serve una frusta elettrica con le sue simpatiche estremità, sia quelle per montare (le tipiche bombate) che quelle per impastare (a tortiglione), più una zuppiera capiente.
Cominciate con l'unire con una forchetta nella zuppiera lo zucchero ai soli rossi delle uova. I bianchi li tenete da parte e con le fruste (per montare) li montate a neve. Questo passo non è necessario, ma fortemente consigliato visto che il dolce ne guadagna in aria e quindi in sofficità, che le mattonelle vanno bene, ma solo per l'edilizia. Vi ricordo inoltre che i bianchi sono pronti quando non ne vogliono sapere di uscire dal recipiente alto e stretto nel quale li state montando.
Fatto ciò aggiungeteli all'impasto nella zuppiera mentre mescolate il tutto con le fruste a tortiglione (quelle per impastare). Poi inserite tutti i liquidi: il liquore, il latte e l'olio. 
Grattate anche la scorza di un limone ben lavato e mettetela nell'impasto. 
Per ultima ci va la farina che aggiungerete a cucchiaiate sempre mentre mescolate con le fruste a tortiglione. Se evitate di buttare la farina tutta insieme proprio sopra le fruste rotanti, il che potrebbe anche essere divertente come effetto scenico, visto che farebbe esplodere il motore delle fruste e creerebbe l'effetto nebbia della discoteca, vedrete che tutto si amalgamerà ben bene, senza sporcare le pareti di casa e senza fare grumi. Fico, no? 
Il composto rimane abbastanza liquido: non preoccupatevi, va bene così, il ciambellone risulterà bello soffice, diciamo non come quello di Maria, ma almeno sarà mangiabile anche da chi ha una dentiera ballerina.


Ora passiamo alla teglia. Imburratela bene (che vuol dire: dovunque!) con un pezzetto di burro e poi mettete un cucchiaio di farina nella teglia e ruotandola fatela attaccare al burro. Questa cosa che effettivamente può sembrare una inutile complicazione eviterà la spiacevole distruzione del ciambellone in pezzi quando lo leverete dalla teglia, e vi salverà dalla scomunica nel caso, tra l'altro molto probabile, di proferimento di "parole grosse". Quindi poche storie:fatelo e basta, poi mettete la teglia in frigo che sennò vi si squaglia tutto.


E' arrivato il momento di accendere il forno con temperatura impostata a 190 gradi.


Passiamo alla frutta. Sbucciate le nespole, togliendo gli ingombranti semi e la pellicina che li riveste, poi fatele a cubettini piccoli. Sbucciate le renette, e tagliatele a fettine sottili (3-4mm).


Aggiungete il lievito all'impasto, mescolate poi versatelo nella teglia imburrata ed infarinata. Poi fate prima cadere i quadretti nespole su tutta la superficie della teglia, e visto che l'impasto è liquido piano piano affonderanno, quindi infilate verticalmente le fettine di mela disposte a raggiera, sempre per tutta la superficie dell'impasto.
Se ce l'avete, mettete dello zucchero di canna sulla superficie, che renderà croccante la parte alta della torta, e poi infornate.


Ci vuole (con il mio forno a gas) circa un'ora a 190°, ma dopo 50 minuti infilzate la torta con uno stuzzicadenti (meglio se lungo) e sentite se è asciutta. 
Notate che se è bagnata potrebbe voler dire due cose:
1) è cruda, ma se sopra la torta è scura è poco probabile,
2) avete infilzato una mela. In questo caso assaggiate lo stuzzicadente. Se sa di mela, beh, avete beccato la mela, quindi infilzate altrove. 


Buon appetito!!


venerdì 21 maggio 2010

La mia Crostata (senza strisce) di Ricotta e Visciole



INGREDIENTI



per la frolla:
300 g di farina
150 g di zucchero bianco
150 g di burro 
3 tuorli d'uovo (i rossi)
scorza di limone grattuggiata
un pizzico di sale
(e se proprio ci volete le strisce sopra,
 aggiungete 1/3 in più di ingredienti)


per il ripieno:
400 g di ricotta vaccina (meglio se di gusto delicato)
100 g di zucchero
1 uovo intero (tutto!!)
1/2 tazzina di caffè di liquore (sambuca, rum o cherry, ma io ho usato il brandy che era l'unico che avevo)
2/3 barattolo di confettura di visciole da 350g, quindi 230g circa
zucchero a velo per la guarnizione.


Diciamo che ne ho sempre sentito parlare, senza aver mai aver avuto l'occasione di gustarla.
Tipica romana di tradizione ebraica, mi dicono:"devi assolutamente andare da Boccione al Ghetto ad assaggiarla", e di qua e di la, ed è buonissima con le visciole che sono un po' aspre, ecc ecc.
Io mi fido, anzi vorrei assolutamente assaggiare codesta bontà, peccato che come da tradizione ebraica, Boccione di sabato sia chiuso, ed io che non è che ho tempo da perdere in centro durante la settimana, non sono mai riuscito a passarci ed a trovarlo aperto, maledicendo me stesso che me ne dimentico, e pure un po' la non coincidenza dei nostri calendari.
In più mi ricordo (o mi pare di ricordare) che papà quand'ero piccolo faceva i barattoli le visciole sotto lo zucchero, poi le lasciava al sole e lo zucchero si squagliava e ne veniva fuori una cosa meravigliosa.
Quindi ho pensato: "sai che c'è, mo 'sta crostata me la faccio da me, che di sicuro viene buona lo stesso". 
(E certo, che senza termini di paragone per forza bona adda venì...)

Sul web ci sono 1000 ricette base per la crostata, io scelgo quella di Nadia "precisina"
un po' perchè io do poca confidenza agli sconosciuti mentre lei la conosco personalmente (ed è pure brava!), un po' perchè mi pare che sia quella con la lista ingredienti più equilibrata, forse con il ripieno un po' dolce per i miei gusti, ma ora le dosi sono corrette "a modo mio".

Subito si palesa il primo scoglio: trovare 'sta cacchio di marmellata di Visciole, che pare non ce l'abbia nessuno, e che di solito, se la trovi, è allungata con le amarene.
Per far ciò spedisco Vale ed il suo fido Zoomer da Castroni a Cola di Rienzo, che per chi non lo conoscesse, (ma ne dubito che oramai anche al raduno "Foodies in Rome" dei Foodbloggers siamo passati da Castroni) è un meraviglioso negozio di Roma dove uno trova tutto quello che di solito non trova altrove, soprattutto se si tratta di cibo straniero.
Di li, la Vale mi torna con il suo magnifico trofeo: la Visciolata della Azienda Agrimontana di Borgo S.Dalmazzo (CN). La apro, è morbida, asprigna e con le visciole ancora intere dentro (per carità, intere ma senza nocciolo..)

Secondo scoglio: << musica di sottofondo >> da-da-daaaa << SUSPANCE >> la terribile pasta frolla!
Gli storici (ma anche gli stoici) sostengono che la pasta frolla sia un'entità a se, che possa vivere di vita propria. Ama il burro freddo del frigo, odia essere toccata a lungo e soprattutto con le mani calde, e se non si seguono queste regole impazzisce. Ma guarda te. Manco fosse una donna.
Non so se poi bisogna anche tenerla lontana dalla luce forte, se non vada assolutamente bagnata, o se le si possa dare da mangiare dopo la mezzanotte, ma indaghero. (Tranquilli, sto scherzando...).


C'è quindi chi per approcciarla con la cura che merita usa stratagemmi molto fantasiosi come lavorarla in una ciotola dentro un'altra e con in mezzo del ghiaccio, o mettere le mani sotto l'acqua fredda ogni tanto mentre la si impasta per raffreddarle...
Io spaventato da tutti 'sti racconti, ho fatto qualche ricerca su internet, ed ho trovato il video di questo cuoco che parla in modo per me incomprensibile, ma di certo agisce in modo incontrovertibile.
Quindi se con quelle manone lui la può fare e senza fretta e barbatrucchi che tutti mi prospettano, la posso fare pure io. Esecucinoio...
Metto la farina, lo zucchero, la scorza di limone grattuggiata e una presa di sale in una normalissima ciotola, mescolo il tutto, aggiungo i 3 tuorli d'uovo, mescolo ancora metto infine il burro tirato fuori dal frigo e subito tagliato a dadini, quindi comincio a mescolare con le mani. 
Viene sabbioso, tipo cianfrugliare con le mani sulla spiaggia. 

Eccola la, lo sapevo mi è impazzita la pastafrolla. 

Mentre mescolo chiudendo e aprendo le mani per amalgamare il burro alla farina mi passano per la mente tutte le raccomandazioni, ed io che me n'ero fregato altamente... 
Forse ci andava lo zucchero a velo, forse le uova andavano intere, forse avrei dovuto farmi venire i geloni e con le mani di ghiaccio poi impastare per bene, forse avrei dovuto usare proprio una ciotola di ghiaccio, tipo il bicchiere della (brrr) Brancamenta...
...invece no, impasta e impasta, mi viene fuori un bel pezzo di Dido giallo giallo, come le gomme Brooklyn Tuttifrutti.
Finisco di impastarla sul tavolo, ma poco, giusto un minuto, gli do una forma incartabile con la pellicola trasparente e via in frigo per un'oretta, che così le passano i bollenti spiriti.
In un'altra ciotola mescolo con una frusta, che fa tanto sadomaso, la ricotta, il liquore e un uovo intero allo zucchero, finchè il tutto non diventa cremoso come lo yogurt, e metto in frigo pure questo che così intanto fa conoscenza con la frolla.

Passata l'ora, tiro fuori la frolla e la stendo sulla carta forno con un po' di farina sopra, che così non si attacca al mattarello. Inizialmente è dura come il Pongo in frigo. Pian pianino si convince e si fa stendere. Prendo le misure con la teglia e la allargo fino a coprirla bene e ad avere un po' di bordo. Viene spessa 3/4 di centimetro, bene così!
Ora prendo la frolla dalla carta forno e la appoggio sulla teglia. La carta mi aiuta a metterla bene nella teglia fino al bordo senza romperla. Taglio via il superfluo sopra il bordo teglia e levo la carta.
E' il momento delle visciole. Con un cucchiaio ne spalmate un po' sulla frolla, a vostro gusto, io ho consumato 2/3 di barattolo ma c'è chi lo mette tutto ed ha uno strato più alto di marmellata. Sopra la marmellata versate il composto di ricotta, quindi muovete la teglia in modo che il tutto si diventi bello piano e liscio. 
Quindi portate il forno a 180 gradi e infornate per un'oretta.

In teoria la ricotta dovrebbe colorarsi sul marroncino e questo indica che la crostata è pronta, ma a me non è successo, quindi come consiglio, vi dico di regolarvi sul colore della frolla. Da gialla diventa marrone biscotto, e a quel punto sfornate.

Ora è necessario pazientare per un'ora prima di togliere la torta dalla teglia perchè si deve freddare e la ricotta si deve compattare. Se la tagliate ora, oltre alla dissenteria, rischiate di rovinare pure la crostata. Vi ho convinto?

Una bella spolverata di zucchero a velo, un po' di marmellata sopra (se ve n'è rimasta) o un frutto rosso, e voilà la crostata è belleppronta! 

Buon appetito!


mercoledì 5 maggio 2010

29 Apr 2010 serata Voiello: Pasta, Vino e Blogger









 
Allora.
Qualche settimana fa mi contatta Chiara del Blog di Voiello, che avevo conosciuto tempo addietro al divertente incontro "Foodies in Rome" (si, proprio quello che mi ha dato il "la" per aprire questo blog) e mi invita ad un happening, come dicono i devoti di Sua Maestà, con tema "il vino e i suoi abbinamenti" presso il ristorante Grappolo d'oro Zampanò dietro Campo de' Fiori.

Come farsi sfuggire una occasione del genere?

Armato di macchina fotografica scappo dall'ufficio, mi faccio scortare da Vale e dal suo fido Zoomer, e via! verso nuove ed incredibili avventure!


L'atmosfera è subito estremamente amichevole, si conosce gente nuova (molto simpatica!) si incontrano le amiche blogger romane, e si comincia a prendere confidenza con Voiello e le sue paste dalla busta azzurra, disseminate un po' dovunque.
 

Suona la campanella e seguiamo un interessante corso su come riconoscere il vino, utilizzando ciò di cui madre natura ci ha fornito: i 5 sensi (oddio non tutti, magari 3 su 5, che il vino ancora non parla e poi non è carino ficcare le dita nel bicchiere...)

La sommelier professionista Eleonora Giglio, (tra l'altro gran bel pezzo di figliuola), con molto entusiasmo ci fa una bella lectio magistralis sul vino, che diventa ancora più coinvolgente quando si passa alla parte (più pratica) della descrizione delle regole base per non sbagliare gli abbinamenti.
E' qui che Eleonora da il meglio di se e ci descrive vini ed abbinamenti con l'aiuto dello chef Voiello Roberto Bassi, con il quale improvvisa anche divertenti siparietti.

Si passa nella sala imbandita: evviva, si mangia!



Il menù comprende antipasto, 3 primi accompagnati da 3 vini ed un dolce con la sua Malvasia.
Antipasto degno di nota, ma avevo troppa fame per gustarlo bene e ricordarmi cosa cavolo mi sono infilato velocemente in bocca. Mi sovviene solo la salvia fritta e una squisita panzanella fatta a mo' di tortino.

Primo Primo: Vermicelli Voiello con gallinella e santoreggia
vino: Perdaudin Roero Arneis (bianco)

Discretamente buoni, ma io non amo particolarmente il limone nelle paste e quindi mi faccio subito riconoscere facendolo notare allo chef Bassi, che da qui in poi mi sfotterà per tutta la serata... 
Certo che quando uno se la cerca...
Vino ottimo. Almeno su questo, nulla da dire.

Secondo Primo: Fusilli bucati corti Voiello alle sarde e finocchietto.
vino: Occidens - Terzavia Renato De Bartoli (bianco)

Veramente non mi ero accorto che i fusilli fossero bucati, perchè sono "bucati poco", diciamo tipo bucatini attorcigliati. Effettivamente ho trovato questo tipo di pasta veramente ottima, e la utilizzerò sicuramente per preparare qualcosa prima o poi. 
Il piatto con le sarde e finocchietto era buono. Il vino un po' meno, se confrontato con il primo bianco, ma questo a mio gusto personale, e io non è che ci capisco tanto. Poi di bianchi...

vino: Cagnulari - Isola dei Nuraghi (rosso)

Buoni, buoni e buoni. Sarà che amo l'agnello, che la ricotta salatà è una squisitezza e che ho una predilezione per gli schiaffoni (magari non in faccia), ma unire le tre cose non può di sicuro portare ad un piatto sbagliato. Il vino rosso che accompagna mi piace ed essendo il terzo, va giù particolarmente bene. Sono così buoni che non faccio in tempo neanche a fare la foto,: me li spazzolo via prima di poter fare lo scatto.

Dolce discreto, ottima malvasia, ma con me i vini dolci vincono sempre.

 









Tiriamo le somme. A fine serata ho mangiato bene, ho imparato un sacco di cose, ho rivisto tante food-blogger romane (tra cui Rossella, Elisa, Nadia, Eva, Antonella), ho conosciuto gente simpaticissima, tra cui la fantastica Letizia che mi ha spiegato per filo e per segno come si fa il calzone di cipolla pugliese, ma io me lo sono dimenticato (sigh!), e ora correrò ai ripari chiedendole direttamente la ricetta.. 
Insomma ringrazio Voiello e le ragazze di Hagakure (Chiara e Laura) che mi hanno fatto passare una ottima serata.

L


...dimenticavo, Voiello a fine serata ci ha pure regalato un pacchetto a testa con le tre paste utilizzate durante la cena più un pacco di spaghetti lunghissimi dentro un tubo tipo quelli da disegno e una parannanza blu griffata col marchio della casa. Meravigliosi.
Avreste douto vederci a me e alla Vale sullo zoomer con i due tubi che sbucando dal motorino sembravano bazooka...


UPDATE 1: Voiello ha pubblicato l'ebook con i consigli della sommelier e le 3 ricette:
CLICCA QUI PER SCARICARLO


UPDATE 2: Quelli di Voiello durante la cena ci hanno intervistato, sentite cosa sono riuscito a dire senza fissare mai la camera (sigh!) cercando di battere il record mondiale di "diciamo":
CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO

lunedì 3 maggio 2010

Canneroni di Gragnano alle verdure



INGREDIENTI:
(Dosi per due persone con molta fame)
300g di Canneroni della cooperativa dei Pastai Gragnanesi
1/2 cipolla rossa di Tropea
1/2 melanzana viola lunga
1 zucchina
10 pomodorini (pachino o datterini)
1 manciata di pinoli
olio, sale e vino bianco
peperoncino tritato a piacere
parmigiano (o anche della ricotta salata)


Gragnano. 
Non sono mai stato a Gragnano, ma il solo suono della parola "Gragnano" mi evoca lavorazioni antiche di mastri pastai che lentamente posano spaghetti lunghissimi ad asciugare, o trafilazioni in bronzo che danno paste ruvide al tatto e chiare alla vista.
Un pacco di Canneroni della cooperativa dei Pastai Gragnanesi che avevo in dispensa, delle verdure che avevo in frigo ed i pinoli avanzati dalla scorta che ne avevo fatto per la preparazione del castagnaccio, mi hanno portato, quasi spontaneamente a comporre questo semplice ma sfizioso piatto che vado a raccontarvi.


Cominciamo col dire che io non amo particolarmente la pasta liscia. 
Mi sono trovato a comprarla qualche settimana fa al ritorno da una gita in montagna. Eravamo verso Frosinone, e quando sei li, che fai, non ti fermi a comprare un po' di mozzarella di bufala ai negozietti bordo strada? e magari pure della ricotta (sempre di bufala) ed un bel caciocavallo affumicato?
Poi, mi giro ed eccola li, la pasta di Gragnano che mi guarda: è stato amore a prima vista: l'ho dovuta prendere! 
Do un'occhiata, sposto i pacchi di pasta per vedere cosa c'è dietro ma hanno solo penne rigate (che prendo) e poi questi Canneroni, che in pratica sono dei maccheroncini corti e lisci; vabbè ho pensato, mi verrà in mente qualcosa per usarli, magari in forno, con sopra tanta mozzarella filante...
Invece no, complice Valentina, che prima mi ha bocciato la matriciana e poi la gricia (Grrr..!), ho pensato, proviamo a farle una bella pasta con le verdure, magari tagliate piccole, che magari entrano dentro i canneroni e magari la insaporiscono per bene, e magari dice si.
"Magari!", ha detto la Vale. 
Ebbene: pasta con le verdure sia!




Armato del mio fido Zwilling (per chi si fosse collegato solo ora, è un coltellaccio da serial killer), prendo una cipolla di Tropea, ne taglio mezza e la faccio a pezzettini piccoli piccoli (si, ho pure la mezzaluna, ma non mi va di sporcarla, e poi con la cipolla è meglio il coltello) e la metto a soffriggere in padella con un po' d'olio (ma forse meglio abbondare leggermente che le melanzane se lo tirano) e meno peperoncino di quanto vorrei, che sennò Vale si lamenta e mi tocca ucciderla con l'utensile suddetto...
Quindi lavo una zucchina e pure mezza melanzana viola, di quelle lunghe, e taglio il tutto a cubettini piccoli, diciamo da mezzo centimetro di lato, perché si dovranno un po' sciogliere nella cottura per amalgamarsi meglio con la pasta.
Imbiondita la cipolla ci aggiungo le verdure a cubetti assieme ad una generosa spruzzata di vino bianco e continuo a far cuocere il tutto coperto e a fuoco medio. 
Nel frattempo taglio grossolanamente in 4 i pomodorini e metto a bollire l'acqua per la pasta che vado finalmente ad aprire.
La busta è di una elegante plastica trasparente con un adesivo che ne evidenzia la nobile provenienza, ma è chiusa con dei fastidiosi rivetti che non vogliono saperne di cedere alle mie lusinghe: prendo le forbici e vaffanculo.
La pasta liscia che tanto temevo, si rivela invece ruvidissima al tatto, come se fosse stata passata con la carta vetrata: meravigliosa, l'ho appena incontrata, ma già la amo.
Le verdure in padella si stanno colorando, è ora di aggiungere i pomodorini ed aggiustare di sale, e magari mettere ancora un po' di vino, e diciamo pure di abbassare un po' la fiamma. E' un duro lavoro quello del foodie, ma qualcuno dovrà pur farlo...
Quelli di Gragnano consigliano di cuocere la pasta per 10 minuti, io previdente imposto il manopolone del timer a 7 minuti che tanto poi dovrò saltarla in padella, quindi butto la pasta ma sottostimo il tempo e la tenuta di una pasta artigianale che solitamente resta più al dente di quella industriale e quindi va cotta un po' di più.
Infatti quando il timer suona, mi accorgo con già con la cucchiarella che 7 minuti non sono sufficienti visto che la pasta sta ancora "in piedi da sola" e arrivo abbondantemente ai 10 consigliati. 
Prima di scolare la pasta mi prendo un bel bicchiere di acqua di cottura (o anche 2 se piccoli) che mi servirà a saltarla senza far asciugare troppo le verdure ed inoltre l'amido contenuto nell'acqua mi aiuterà a rendere cremoso il tutto.
Controllo le verdure: sono pronte e giuste di sale, a questo punto la Vale ha "l'idea": perché non ci mettiamo pure due pinoli? Brava! e perché no? Accetto la dritta e agisco. Il consiglio si rivelerà provvidenziale: i pinoli ci stanno proprio bene.


Scolo la pasta, la adagio nella padella dove le verdure si sono cotte e amalgamate per bene, alzo la fiamma e comincio a mescolare il tutto. Aggiungo quasi subito metà del bicchiere di acqua della pasta, e continuo a mescolare, l'acqua si asciuga, metto l'altra metà bicchiere e voilà, la pasta è pronta, con un favoloso sugo cremoso, aggiungo una bella spolverata di parmigiano, diciamo come se nevicasse, e si mangia!


Come variante, credo che anche qualcosa di più saporito, tipo la ricotta salata o il cacio ricotta, ci starebbe proprio bene, ma giusto il tempo di pensare a questa cosa e di fare 4 foto, ed i piatti sono più puliti di quando li abbiamo presi dallo scolapiatti. Che bontà! 


Buon appetito.

mercoledì 31 marzo 2010

La pizza di verdure con indivia e scarola



INGREDIENTI:


per la pasta di pane (ricetta della macchina del pane):
- 600g di farina per pane;
- 10g sale;
- 5g zucchero;
- 75g olio d'oliva;
- 230g acqua
- 1 bustina lievito mastro fornaio Bertolini;


per il ripieno di verdure:
- 1 kg e mezzo in totale (metà e metà) di indivia riccia e scarola; 
- 300g di olive baresane snocciolate e sgocciolate;
- 3 spicchi di aglio grossi;
- peperoncino a piacere;
15-18 cucchiai di olio d'oliva;
- 100g di uvetta;
- 10 filetti di acciughe sott'olio.


La pizza di verdure di mamma, mmmh...
Soltanto a nominarla, mi viene l'acquolina in bocca.


Io credo che se dovessi scegliere tra i tanti piatti che mamma sa cucinare (e tutti in modo egregio) una, ed una sola cosa, beh la mia scelta cadrebbe incontrovertibilmente sulla pizza di verdure, che è di gran lunga ciò che a me piace di più. 
E mi piace pure, perché di solito con la pasta di pane in eccesso e con il forno che è già acceso, ci viene pure una bella teglia di pizza bianca bassa bassa scrocchiarella, con il sale in vista ed il rosmarino fresco, che di solito finisce prima che si sia freddata (con tutte le annesse scottature di dita..)
Ora basta digressioni, altrimenti la mia tastiera, in guazzetto di saliva, diventerà inutilizzabile.




La pizza di verdure, ossia la pizza con indivia e scarola era una cosa che faceva mia nonna, che fa mia mamma e che (finalmente) ora so fare pure io. 
Mia mamma dice sempre: "...devi imparare, che un giorno, quando non ci sarò più, chi te la farà?". 
Io di solito a questo punto della discussione, mi tocco -in senso scaramantico- e la mando a quel paese.


Comunque, metto le mani avanti, e dico subito che questa pizza per una pippa in cucina come me, non è semplicissima da fare, ma non perché sia complicata in senso assoluto, ma solo perchè la preparazione è lunga anche se non particolarmente laboriosa.
Il vantaggio principale è che però la verdura per il ripieno e la pizza, possono anche essere fatte in due volte e quindi non è necessario uccidersi e fare tutto in un giorno. Il difficile invece è non mangiarsi tutta la verdura da sola che è deliziosa, ma questo è un altro problema che noi "mangiatori-di-piatti-parzialmente-preparati" abbiamo di solito.


Confesso qui in pubblica piazza, che per velocizzare il tutto mi sono fatto aiutare dalla mia fida macchina per il pane, che lavorando in parallelo mi ha fatto trovare una bella palletta di pasta di pane pronta per la seconda lievitazione. Certe volte avere un catafalco del genere che solitamente ti guarda inutile dalla dispensa risulta essere di grande aiuto... 


Passiamo agli ingredienti.


Per la pasta di pane (ed uso la ricetta della mia macchina del pane Severin):
600g di farina per pane;
10g sale (diciamo 1 cucchiaino e 1/2);
5g zucchero (diciamo 1 cucchiaino);
75g olio d'oliva (ma forse è anche troppo, se diminuite la dose integrate di acqua);
230g acqua;
1 bustina di lievito Mastro Fornaio della Paneangeli;
per la macchina del pane uso il programma di solo IMPASTO da circa 1 ora e mezza.


Per il ripieno di verdure:
1 kg e mezzo in totale (metà e metà) tra indivia (è l'insalata a foglie ricce) e scarola (invece è quella a foglie lisce). Considerate che l'indivia è più amara, la scarola più dolce se voleste correggerne la proporzione;
300g di olive baresane (o anche di Gaeta, ma comunque piccole e tendenzialmente amarognole), pesate snocciolate e sgocciolate;
3 grossi spicchi di aglio (o 5 piccoli) scamiciati (che poi significa sbucciati);
peperoncino a piacere, che ci va sempre e fa bene;
15-18 cucchiai di olio d'oliva, e ci vogliono tutti;
100g di uvetta secca, che non è necessario far rinvenire in acqua;
10 filetti di acciuga sott'olio. E se a qualcuno non piacciono le acciughe lo dica ORA o taccia per sempre. Considerate comunque che se ad uno dei commensali non piacciono le acciughe (e non sa cosa si perde), il trucco è di non dirgli che ci sono, tanto alla fine non si sentono: la pizza non sa di pesce!. Io l'ho fatto spesso e non se ne è mai lamentato nessuno. Logicamente se il tizio fosse allergico, è un altro paio di maniche, a meno che non vi stia sulle balle pesantemente....


Si comincia con il lavare la verdura, e qui vi serve tutto il lavandino da riempire d'acqua per metterla bene a bagno. Tagliate il fondo e liberate le foglie, lavatela per almeno 3 volte, che la terra, controllate bene, non fa proprio parte dell'elenco ingredienti.
Fatto ciò spezzate con le mani tutte le foglie in 2 o in 3 parti, quindi strizzatele, scuotendole energicamente, e mettetele da parte. Il loro volume ORA è impressionante. Come cavolo entreranno in una teglia da 35 cm di diametro e alta 4-5? Abbiate fede che ritira in modo incredibile.
Snocciolate le olive, e mettetevi comodi che qui ci vuole un po'. Se possibile, servirebbe lo snocciola olive, che è quel coso che di solito sta insieme allo schiaccia aglio (wow, 2 attrezzi al prezzo di uno!) visto che le olive Baresane non le vendono snocciolate ma soprattutto, 3 etti sono tante! In più 'ste olive sono piccole e bastarde e si infilano nel buco dello snocciola olive, quindi una ogni tre la dovete fare a mano col coltellino. Pazienza, ne vale la pena. Se  può servire, io ho maledetto tutti gli alberi di ulivo nel raggio di 100km da casa mia, ma mi sono consolato ciucciando dai noccioli la parte superiore, che con lo snocciola olive non viene via.


Ora con le mani e le unghie nere di olive, la bocca salata, e la schiena già provata dallo snocciolamento, prendete una pentola capiente che potrà contenere -pressandola-, tutto l'ammasso di verdura cruda che avete nel lavandino. Metteteci l'olio, le olive, l'aglio ed il peperoncino e soffriggete il tutto.
Quando l'aglio accenna ad imbiondire, aggiungere tutti e 10 i filetti di acciuga e continuare a far soffriggere per qualche altro minuto, che i filetti si devono sciogliere nell'olio, infine aggiungete l'uvetta e tenete per altri 2-3 minuti il tutto a fuoco medio.
Nota bene: l'aglio non si toglie! Si scioglierà nella verdura come le acciughe,
e incredibilmente non vi puzzerà neanche l'alito! 
Misteri della pizza di scarola e indivia.


Solo a questo punto, mettete tutta la verdura in pentola, pressatela bene e coprite con un coperchio, mettete a fuoco molto basso e fate cuocere così per 40 minuti, controllando di tanto in tanto (diciamo ogni 10min) lo stato della verdura che dovrà ritirarsi almeno un po' prima di poter essere mescolata. 
Non provateci subito, che fate un casino sui fuochi che metà basta.
Dopo i 40 minuti togliete il coperchio, e vedrete che ci sarà molta acqua in pentola: la verdura andrà cotta finchè c'è acqua. Ora mettete a fuoco medio-alto e mescolate più di frequente. Quando, strizzando la verdura sul bordo della pentola con un cucchiaio, non ne uscirà più liquido, allora e solo allora sarà cotta.
Ci vorranno per questo altri 40 minuti (quindi 1 ora e 20 in totale), durante i quali è importante controllare la liquidità e mescolare, di meno all'inizio, ma  di continuo alla fine (gli ultimi 10 min), che non vorrete mica bruciare tutto, dopo sta fatica...
A fine cottura assaggiate, e se necessario aggiustate di sale. La verdura dovrà risultare un po' salata, o quantomeno abbastanza saporita.


A questo punto torniamo alla nostra pasta di pane. 


Come dicevo, io mi sono fatto aiutare dalla macchina del pane, con la quale buttate tutto nel cestello e vi godete lo spettacolo, ma nel caso la voleste fare a mano, la procedura è semplice.
Prendete una zuppiera larga, ci mettete la farina ed il sale, in un bicchierone sciogliete il lievito (se lo avete naturale) con lo zucchero nell'acqua e poi poco alla volta aggiungete i liquidi (acqua e olio) alla farina, mescolando con le mani. Se avete il lievito in bustina non è necessario scioglierlo ma incorporatelo alla farina. Lavorate il tutto finché non diventa una palletta omogenea, elastica e liscia (e un pochino appiccicosa). A questo punto toglietela dalla zuppiera, lavate la zuppiera, asciugatela bene, metteteci un po' di farina dentro e sopra adagiateci la pasta a lievitare, che avrete inciso a croce con un coltello. Coprite la zuppiera con un canovaccio, che non deve toccare la pasta neanche quando sarà ricresciuta e attendete un'oretta e mezza. Rilavorate quindi la pasta lievitata. Poi di nuovo nella zuppiera, croce e lievitazione. Più ce la lasciate e meglio è.




La pasta di pane pronta va divisa in due parti, una da 2/3 per la base e l'altro 1/3 per la copertura.


Ungete con le mani il fondo ed i lati di una teglia di alluminio con dell'olio di oliva, stendete la pasta di pane a disco, larga in modo da coprire fondo e bordo teglia per 4-5 cm. 
Adagiate con mooolta attenzione la pasta sulla teglia che una volta posata fa le rughe come quelle degli Shar-pei (ma non basta un biscotto a forma di osso e una carezza per spianarle), e lavorate intorno intorno schiacciando la pasta sui lati per alzarla bene sul bordo, quindi, fatto ciò, con una forchetta bucate il fondo.


Mettete tutta la verdura sopra la pasta e stendetela schiacciandola uniformemente con un cucchiaio a coprire tutta la superficie. Il bordo della pasta dovrà stare sopra la verdura, of course...


Stendete un disco con la pasta rimasta largo abbastanza per coprire la verdura, ma non più largo. Adagiate quindi la pasta sopra la verdura e fate combaciare bene i bordi della copertura con il bordo della parte sotto. 
Ora attenzione: rimboccate con una forchetta i bordi del fondo, sulla copertura ossia, con un movimento circolare, prima infilzate con la forchetta il bordo e tiratelo sopra la copertura, e infine appuntatelo sulla copertura infilzando entrambi, ripetete tutto intorno in modo da chiudere bene la pizza cosicchè la verdura non possa uscire fuori dalla pasta.
Ungete bene il bordo rimboccato e la superficie con un pennello o con le mani e infine bucate abbondantemente con una forchetta la copertura.


Finalmente la pizza è pronta per il forno, che da bravi cuochi avrete fatto preriscaldare almeno per 15-20 minuti a 250°. 
Ve lo siete dimenticati? Fa nulla, accendetelo ora e aspettate un po' che si scaldi per bene. Io non lo dirò a nessuno.


Infornate quindi per 30' mettendo la teglia sulla griglia ad 1/3 dell'altezza dal fondo e tenendo la temperatura a 250°. 
E' sempre una pizza fatta con la pasta di pane e come la pizza, va cotta a temperatura alta.
Dopo mezz'ora la pizza si dovrebbe essere colorata, sfornate e controllate sopra e sotto lo stato della cottura e se si fosse bruciata (si, si può girare, tranquilli non si rompe. certo, a meno che non vi cada dalle mani...). Nel caso non fosse pronta, rinfornate e magari finite di dorare con il grill per 4-5 minuti se la voleste più colorata, ma attenzione a non bruciarla! 
Ora, nel malcapitato caso vi si bruciasse, dopo le imprecazioni di rito, grattate via piano piano la parte bruciata, con un coltello a seghetto. Non se ne accorgerà nessuno...


Cotta la pizza, toglietela dalla teglia e fatela asciugare su di un tagliere di legno così respira bene finchè non si raffredda, quindi almeno per 60-100 min. 
No dai, scherzavo. :)
Quando non vi ustiona più le budella tagliatela e ficcatevela velocemente in gola, che è una goduria indiscriminata, soprattutto se accompagnata con un buon bicchiere di vino o con una birra ghiacciata.


Comunque, secondo me, questa pizza è più buona fredda e ve ne accorgereste se ne avanzasse un po' per il giorno dopo.


Buon appetito
L